MISTERI DELL' ALDILA'

 

Fantasmi a Roma

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Quando si parla di fantasmi e spettrali presenze il pensiero corre alle leggende scozzesi o a quelle irlandesi, oppure castelli abbandonati sparsi un po’ dovunque sul territorio italiano.                                 

                                                                Io invece vi voglio narrare leggende e storie di fantasmi che riguardano la mia città: Roma.

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Tutti la conosciamo,  studiamo la sua storia fin dalla primissima infanzia ed è patrimonio di tutti. Quello di cui si parla poco però, sono i misteri e i fantasmi che popolano Roma di notte; perché proprio quando al chiarore lunare si risveglia il fascino e il mistero delle vie, delle piazze, dei palazzi e dei ponti, e  il biancore dei monumenti è più vivido e le strade si svuotano, antiche presenze, che il carattere sanguigno e passionale dei romani ha contribuito ad amplificare nel corso dei secoli, si risvegliano, e vagano tra le antiche vestigia.

Fantasmi di personaggi famosi o sconosciuti, preda di passioni, o vittime di tragiche storie di sangue tornano  nei luoghi frequentati in vita  alla ricerca di una pace o di un compimento che non hanno trovato da vivi e che forse non riescono ancora a trovare.

 

"Una delle più antiche storie è quella che riguarda Bruto che dopo aver partecipato all’uccisione di Cesare, insieme agli altri congiurati abbandonò la città e dovette affrontare in combattimento le truppe guidate da Marco Antonio. Una notte mentre era nella sua tenda gli apparve un fantasma che gli disse: “Ci rivedremo a Filippi”. Lo stesso fantasma gli  riapparve la notte precedente la battaglia. Dopo la sconfitta Bruto dilaniato dai rimorsi si uccise.

La moglie dell’imperatore Claudio, Messalina, fu fatta uccidere per i suoi costumi spregiudicati e la sua dissolutezza, ella si aggirerebbe nei giardini del Pincio. A villa Celimontana invece la cortigiana Imperia, immortalata da Raffaello come ninfa Galatea e amante di Agostino Chigi, vaga alla ricerca delle sue ossa che inizialmente furono tumulate in una tomba a San Gregorio Magno, e che poi furono rimosse per far posto a quelle di un anonimo canonico".

 

 

Una città come Roma è intrisa di fantasmi, il retroscena storico permea ogni pietra, ogni marmo della città. Alcune figure hanno lasciato il segno più di altre nell’inconscio collettivo dei suoi abitanti  proprio perché hanno compiuto gesta o hanno in qualche modo sconvolto l’ordine sociale, che hanno fatto scalpore o hanno dato scandalo.  Due donne tra tante sono rimaste impresse a caratteri di fuoco in questo scenario: 

"Donna Olimpia Pamphili e  Beatrice Cenci"

 

 

"Donna Olimpia Pamphili" detta Pimpa o Pimpaccia (1592-1657)

 

 

Olimpia Maildachini Nacque  a Viterbo  da una famiglia di modeste condizioni. Era una ragazza ambiziosa ed arrivista, astuta ed anche belloccia, queste caratteristiche ne facilitarono la repentina ascesa sociale.

Si sposò all’età di vent’anni con un uomo molto ricco ed anziano  che la lasciò presto vedova.   Si risposò con Pamphilio Panphili di trent’anni più vecchio di lei, e  divenne dunque "Donna Olimpia Pamphili" detta la Pimpaccia di piazza Navona perché la residenza del marito era il palazzo  Pamphili situato proprio nell’estremità meridionale di piazza  Navona. Il marito era fratello del cardinale che presto diverrà Papa col nome di Innocenzo X. Quando Pamphilio Panphili la lasciò vedova,  entrò nelle grazie del cognato Papa, e alla fine fu l’unica persona di cui egli si fidasse e da cui accettasse consigli. A Roma chiunque volesse udienza o favori dal Papa prima doveva passare da Donna Olimpia, che così acquisì un potere illimitato. Per essere presentati favorevolmente al papa Donna Olimpia riceveva ricchi doni  da mercanti, ambasciatori, artisti, politici, e personaggi importanti di Roma. Donna Olimpia  non piaceva al popolo romano per la sua ambizione sfrenata, per le sue origini popolane, veniva da fuori Roma ed aveva la pretesa di regnare come una regina. Spesso lazzi e frasi ironiche  indirizzate a lei apparivano sulla statua di Pasquino che era situata proprio alle spalle di palazzo Pamphili. Addirittura si vociferò che fosse l’amante del papa. Quando Papa Innocenzo X nel 1655 morì  per Donna Olimpia fu la fine, ella vide sfumare tutto ciò che aveva conquistato, e così poco prima che Egli morisse, riempì due casse con monete d’oro e fuggì in una carrozza trainata da quattro cavalli verso la villa Pamphili alle spalle del Vaticano (oggi parco pubblico) Non tornò mai più a Piazza Navona. Papa Alessandro VII successore di Innocenzo X la invitò a restituire l’oro, ma ella rifiutò, fu così esiliata a San Martino al Cimino dove dopo 4 anni  nel 1657, morì di peste. I romani che non l’avevano mai amata la trasposero nella leggenda  e si dice che nelle notti di plenilunio esca da Villa Pamphili con tutto l'oro trafugato su una carrozza trainata da neri destrieri lasciando una scia di fuoco, e dopo aver attraversato Ponte Sisto scompaia nel Tevere dove i diavoli vengono a prenderla per portarla all’inferno, così quel tratto dell’Aurelia  fu soprannominata fino al 1914 via Tiradiavoli.

 

 

 

 

 

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Beatrice Cenci (1577-1599)

 

 

Forse il più famoso e amato  fantasma di Roma. Beatrice Cenci  nacque a Roma nel 1577. La famiglia Cenci viveva in un palazzo nel rione Regola, con lei vivevano il fratello maggiore Giacomo, Lucrezia la seconda moglie del padre Francesco, e Bernardo il figlio nato dalle seconde nozze. Francesco Cenci era stato processato per atti di sodomia nei confronti dei figli di un agricoltore, e per questo incarcerato,  ma grazie alla considerazione in cui all’epoca erano trattati i nobili, presto fu di nuovo libero. Francesco tra le mura domestiche era un vero bruto, maltrattava la moglie e i figli ed addirittura s’intratteneva in rapporti incestuosi con la figlia Beatrice. La ragazza disperata, più volte aveva tentato di denunciare il padre all’autorità per gli abusi subiti, ma nessuno fece nulla. A Roma tutti sapevano quello che accadeva in quella famiglia, di cosa era capace quell’uomo, della sua indole violenta, della sua brutalità, della sua arroganza e delle sue depravazioni sessuali.  Quando Francesco Cenci venne a conoscenza delle denunce di Beatrice, confinò moglie e figli in una sua proprietà a Petrella del Salto vicino Rieti. Uno dei due vassalli che doveva sorvegliare la famiglia esiliata divenne l’amante di Beatrice. E fu con l'aiuto dei due vassalli che la famiglia decise di uccidere Francesco Cenci. In occasione di una sua visita i vassalli drogarono l’uomo che fu ucciso infliggendogli un lungo chiodo in un occhio e poi in gola, poi nascosero il cadavere. Ma l’assenza di Francesco Cenci fu notata a Roma, vennero fatte delle indagini e fu arrestata l’intera famiglia. L’amante di Beatrice fu torturato ed ucciso perché confessasse il delitto, ma non parlò. Un amico di famiglia fece uccidere l’altro vassallo perché non parlasse ma fu tutto inutile. Tutti i componenti della famiglia furono carcerati della prigione di Savella, ben nota per le condizioni disumane in cui vivevano i prigionieri,  furono processati e condannati a morte. Il popolo romano protestò, si ribellò a questa sentenza, ma tutto fu inutile ben presto fece di Beatrice un’eroina, ma tutto questo non servì a salvargli la vita, anche perché papa Clemente VII non disdegnava di venire in possesso delle enormi ricchezze della famiglia Cenci. La mattina dell’11 settembre 1599 furono condotti a ponte Sant’Angelo dove li aspettava il boia. Giacomo fu picchiato a sangue con un maglio, il suo corpo dilaniato ed appeso ai quattro angoli. Poi fu la volta di Lucrezia di mettere la testa sul ceppo ed alla fine Beatrice, che al momento della decapitazione in un ultimo accenno di eroismo offrì il collo al boia. Bernardo il più giovane dei figli non fu ucciso  ma fu portato ad assistere all’esecuzione poi fu riportato in prigione e gli vennero confiscati tutti i beni.

Beatrice fu seppellita in San Pietro in Montorio, ma il suo corpo fu profanato da soldati francesi che durante l’occupazione napoleonica ne dispersero i resti e si dice  che giocarono a palla col suo teschio.

Molti giurano di aver visto nelle notti  tra il 10 e l’11 settembre, il fantasma di Beatrice Cenci  che con la testa in mano si aggirerebbe in questi luohi, destinata dall’amore e dalla memoria dei romani a vagare in cerca di una  pace che forse non troverà mai.

 

 

 

 

Vicino a piazza Sant’Apollinare nei vicoli di Trastevere si aggira una figura di donna incappucciata e perciò non ben distinguibile. Si dice trattasi di Lorenza Feliciani moglie del celebre mago Cagliostro che delusa da una vita avventurosa al suo seguito, lo denunciò al Sant’Uffizio. Si sarebbe poi chiusa nel convento trasteverino di Sant’Oliva e li morì a quarantaquattro anni.

Il fantasma di Bartolomeo Pinelli  incisore e pittore, si aggira in via del Lavatore alla ricerca della sua osteria preferita ove soleva ubriacarsi in compagnia degli amici. Sulla scalinata dell’Ara Coeli a volte appare Cola di Rienzo. Mentre  Papa Alessandro VI  è stato visto a piazza Farnese. 

 

 

 

 

Dietro i vetri di una finestra di un palazzo a piazza Navona appare la mano di Costanza de Cupis.

Si dice che ella avesse delle mani così perfette che uno scultore volle immortalarle in un calco. Ma un giorno un prelato vedendo quel calco disse che quella mani così perfette avrebbero portato sventura alla sua proprietaria.

La donna in seguito si ferì con un ago e la ferita infettandosi le portò la cancrena e la mano dovette essere amputata.

 

In un appartamento di via Del Governo Vecchio, al n. 57, fantasmi crudeli e dispettosi costrinsero i coniugi Tromba a lasciare l’abitazione nel maggio 1861.

Emmeline Stuart  acquistò alla fine del secolo scorso una villa in via Trionfale. Insieme a lord Allen si dedicava alle sedute spiritiche, ma accadde che gli spettri da essi evocati presero il sopravvento facendoli impazzire.

E non tralasciamo i fantasmi resi famosi  dal film di Antonio Pietrangeli: 

Fantasmi  a Roma.

Il film racconta la storia di quattro fantasmi “inquilini” di un vecchio palazzone di Roma  minacciato dalla speculazione edilizia. Per non perdere la loro dimora chiamano il fantasma di un pittore per far dipingere un affresco in un soppalco nascosto, cosicché le belle arti dichiarino il palazzo monumento nazionale e resti inviolato. Tra gli interpreti ricordiamo Sandra Milo che interpreta il fantasma di una dama perennemente raffreddata perché morta suicida affogata nel Tevere, Marcello Mastroianni impenitente seduttore anche da morto, l’indimenticabile Tino Buazzelli nella parte di fra’ Bartolomeo e l’impareggiabile Vittorio Gassman nella parte del fantasma del pittore squattrinato e confusionario. Il palazzetto è tutt’ora esistente.

Queste sono solo alcune storie dei molti fantasmi, a volte burloni a volte terrifici, tramandate dalla tradizione popolare. Ci si può credere o meno, ma c’è chi giura di averli incontrati di notte nei  vicoli o nelle piazze, rasente i muri o sui ponti di questa città e ne ha tramandato il racconto arricchendo la storia ufficiale di un velo di mistero che ne sfuma i contorni e dona a  la città di  Roma un risvolto esoterico insospettato.

                           

 

 

 

 Le notizie e alcuni brani sono tratti dal libro"Roma Arcana" di Nica Fiori